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DINAMITIFICIO NOBEL DI AVIGLIANA – Vecchie cartuccerie

Nei primi decenni di vita del dinamitificio l’incartucciamento si effettuava con una macchina manovrata a mano. L’esplosivo veniva immesso in un tubo, dove era inserito un cilindro, e, a piccole dosi, compresso mediante il pistone in un cilindro di carta che veniva poi chiuso.

Quando si cominciò a produrre gelatine dinamiti l’incartucciamento rimase ancora per lungo tempo manuale. Le macchine divennero più complesse ma il principio del funzionamento rimase lo stesso: la pasta veniva passata in una macchina formata essenzialmente da una vite di Archimede rotante in una camera conica. L’esplosivo introdotto era compresso e spinto ad uscire dall’ugello, il diametro del quale corrispondeva alle dimensioni della cartuccia da riempire.

Il materiale uscente veniva tagliato con un coltello di legno nella lunghezza desiderata e pesato, prima di essere avvolto in una carta speciale.

Il primitivo reparto destinato all’incartucciamento manuale è caratterizzato da piccoli edifici realizzati con materiali leggeri. I locali di lavorazione hanno l’aspetto di piccole casette con tetto a doppio spiovente, profondamente incassate tra robuste pareti in cemento, e unite tra loro da camminamenti sotterranei e stretti corridoi.

Le mura di questi casotti sono realizzate in materiali lignei con intercapedine interna, e ricoperte da uno spesso strato di intonaco a grossa granulometria. In caso di scoppio questi “materiali leggeri”, non avrebbero causato problemi alle aree circostanti.

La copertura era formata di capriate e tavolato in legno coperto in eternit e, in alcuni casi, vi era al centro una sorta di abbaino aperto, per lo sfiato.

Le nuove cartuccerie automatiche, realizzate dopo il 1950, sono alloggiate in un’imponente struttura in cemento articolata in locali per ospitare la macchina incartucciatrice e locali attigui per ospitare gli operatori. Naturalmente i due locali sono sempre divisi da spessi terrapieni. La struttura del reparto ricorda quello che ospitava le impastatrici.

Attualmente il reparto nuove cartuccerie presenta ancora i resti della gabbia di Faradaith (protezione dai fulmini) e tracce delle strutture “leggere”, in legno con vetri di cellulosa.

Le nuove macchine incartucciatrici sfornavano 5 t di cartucce al giorno, che venivano imballate in casse del peso di 25 kg.

La pasta veniva disposta su di un piatto rotante da dove era spinta nella tramoggia di carico della macchina. Questa la trafilava e la pressava nelle cartucce, che poi erano raccolte in un cassone.

Le incartucciatrici venivano caricate manualmente, dopo di che gli operatori si ritiravano chiudendo le porte blindate che sbarravano l’accesso ai locali e, da una saletta posta dietro un terrapieno, ne comandavano a distanza l’avvio.

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Il funzionamento era seguito tramite un sistema composto da tre specchi: uno era posto al di sopra di ogni macchina, un altro era collocato in fondo al cunicolo d’accesso al locale; questo rimandava l’immagine ad un terzo specchio posto davanti all’operatore. L’operatore si avvicinava alla macchina solo quando era esaurito il carico e predisponeva il tutto per iniziare un nuovo ciclo.

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