“Così come dice la canzone, eccoci nella bella Italia! Mi domando se c’eravamo davvero…poiché sul più alto precipizio del Moncenisio, diavolo della discordia come vino inacidito, i selvaggi portatori delle Alpi si cimentarono in una lotta per trasportare me e Gray sulla portantina. Spinsero lui contro di me su di uno spuntone dove c’era appena spazio per un piede solo. La minima scivolata ci avrebbe precipitati in una tale nebbia, in una tale eternità, da cui non avremmo trovato la via per uscirne…ai piedi del Moncenisio fummo obbligati a lasciare la nostra portantina che fu smontata in pezzi e caricata sul dorso dei muli, mentre noi fummo caricati su leggere sedie trasportate a braccia, infagottati in berretti di pelo, guanti di pelliccia, calzettoni, manicotti e avvolti in pellicce d’orso. Quando fummo in cima nevicava talmente tanto e le nuvole erano talmente spesse che pensai non saremmo mai potuto passarci attraverso. La discesa è di sole due leghe, ma talmente ripida ed aspra che, o mio Dio lo sai, su quel sentiero passa solo il Diavolo con scarponi chiodati. Ma l’abilità e la prontezza dei montanari fu insuperabile: correvano trasportandoci giù per precipizi ripidi e gelati,dove nessun uomo avrebbe mai potuto trasportare noi, la servitù e i bagagli e passammo circa cinque ore in questa piacevole scampagnata”.
Così nel 1739 i poeti Horace Walpole e Thomas Gray ricordano l’attraversamento del Moncenisio a novembre nel loro Gran Tour, imbacuccati nelle pellicce, guanti pesanti, una tela sugli occhi per ripararli dall’aria e dalla neve: ricordare con ironia per sdrammatizzare la paura di un’avventura non priva di pericoli che si concluse tragicamente quando un giovane lupo spuntato dal bosco afferrò per la gola il cagnolino di Walpole. Molti i personaggi illustri del passato che attraversarono il valico e giunsero a Ferrera tra questi anche l’imperatore di Francia Enrico IV nel suo viaggio verso Canossa: attraversò il valico con la moglie Berta, figlia di Adelaide di Susa, nel gennaio del 1077 trascinati su pelli d’animale. Dalle cronache del passato veniamo a conoscenza anche della vita del borgo di Ferrera dove risultano ben quattro alberghi (Croce Bianca, Del Montone, Dell’Angelo…) e la presenza di un ospedale per pellegrini alla pIna di San Nicolao con un “carnario” ovvero la stanza ipogea dove i defunti venivano deposti in inverno in attesa di seppellirli in primavera. Dall’alto medioevo sino alla costruzione della Strada Napoleonica il tracciato della strada verso il valico attraverso l’abitato di Ferrera rimase invariato per i tanti viaggiatori che provenivano da Torino dopo la sosta a Susa o a Novalesa: una mulattiera ripida ma selciata conduceva in poche ore al borgo di Ferrera e da lì al colle del Moncenisio attraversando la piana di San Nicolao, la Grand Croix e raggiungere l’Ospizio del Moncenisio sul lago prima di intraprendere la discesa verso Lanslebourg o Bramans. La durata del viaggio di attraversamento era di 5 o 6 ore e si poteva viaggiare in autonomia, ma coloro che avevano bagagli e merci, e possibilità economiche preferivano affidarsi al servizio dei marrons. Il servizio di trasporto e accompagnamento era garantito anche in inverno, tanto che la dinastia sabauda fu molto attenta a rendere il percorso i più sicuro possibile e a concedere privilegi alle comunità di valico per l’assistenza ai viandanti: per questo motivo l’itinerario attraverso il Moncenisio era privilegiato dai viaggiato rispetto ai tanti colli alpini occidentali. Ancora oggi è possibile solcare a piedi l’antico percorso da Ferrera sino al Colle del Moncenisio percorrendo la cosiddetta Via Francigena che in questo tratto è anche denominata Strada reale.