La storia dell’abbazia di Novalesa ha inizio il 30 gennaio 726, per mezzo dell’atto di fondazione (di cui una copia è visibile all’interno del Museo archeologico) dovuto all’allora signore franco di Susa e Moriana, Abbone, a controllo del valico del Moncenisio. In questo periodo i monasteri avevano infatti una precisa valenza strategica e i Franchi in particolare non solo li considerarono loro sfera di influenza, ma li utilizzarono come basi di partenza per le loro incursioni contro le popolazioni nemiche.
L’atto di fondazione dell’Abbazia, del 726 è il documento più antico conservato all’Archivio di Stato di Torino, ed è stato seguito dal Testamento di Abbone conservato in copia a Grenoble. Molto importante è anche il Chronicon Novalicense, un manoscritto dell’XI secolo a cura di un monaco che riporta insieme notizie vere e leggendarie con la finalità di consolidamento del prestigio dell’Abbazia. Emerge dal testo una disputa mai enunciata ma evidente con la nascente fondazione arduinica dell’Abbazia di San Giusto nella vicina città di Susa, per il controllo del territorio della media Valle di Susa.
L’Abbazia nel Medioevo ebbe un ruolo molto importante e strategico per la famiglia arduinica: l’abbazia ottenne dai sovrani franchi Pipino il Breve e Carlo Magno numerosi privilegi, tra cui quello della libera elezione dell’abate e del pieno possesso dei beni di fronte ad ogni autorità laica ed ecclesiastica. Il monastero estendeva i suoi domini anche nel basso Piemonte fino all’entroterra ligure di ponente e fu in rapporto con l’abbazia di San Colombano di Bobbio. Questo grande potere da l’idea dell’importanza strategica di questo ente nel governo e nel controllo territoriale della Valle di Susa.
Nell’817 il monastero fu governato da Benedetto d’Aniane che vi applicò la riforma voluta da Ludovico il Pio, adottando definitivamente la regola benedettina. La massima fioritura fu raggiunta con l’abate Eldrado che resse l’abbazia tra l’820 e l’845. Agli inzi del X sec iniziano le invasioni saracene e l’abbazia fu saccheggiata e distrutta; avvertiti del pericolo, l’abate e la maggior parte dei monaci si rifugiarono a Torino, portando in salvo i codici della biblioteca. Qualche anno dopo, sotto la protezione di Adalberto marchese di Ivrea, fondarono nella Lomellina il monastero di Breme. Ma la vita dell’abbazia continua e la struttura venne nuovamente ricostruita nella prima metà dell’XI secolo su iniziativa di Gezone, abate di Breme; un gruppo di monaci benedettini, guidati dal monaco architetto Bruningo, tornò a Novalesa per restaurare l’antico monastero che successivamente costituì, con i villaggi della Val Cenischia (Ferrera, Venaus e Novalesa), una circoscrizione ecclesiastica autonoma durata per diversi secoli.
Nel 1802 Napoleone affidò all’abate Antonio Gabet e ad altri monaci trappisti di Tamié (Savoia) la gestione dell’ospizio sul valico del Moncenisio, per assistere le truppe francesi in transito. Dopo la caduta di Napoleone, i monaci si spostarono a Novalesa, rifondandone l’abbazia e nel 1821 si riunirono alla congregazione cassinese d’Italia. In seguito alla legge di soppressione del 29 maggio 1855 da parte del governo piemontese, i monaci furono nuovamente costretti ad abbandonare l’abbazia. Gli edifici, messi all’asta, vennero trasformati in albergo per cure termali, la biblioteca concessa al seminario, i manoscritti trasferiti nell’archivio di Stato di Torino. Nel 1972 il complesso monastico fu acquistato dalla Provincia di Torino, che lo affidò ai monaci benedettini provenienti da Venezia. Ha qui inizio la nuova e attuale rinascita dell’Abbazia di Novalesa.