Sul finire del 1800, il sorgere di nuove industrie diede l’avvio, nel nostro paese, a grandi mutamenti nello stile di vita della popolazione. Si diffusero le “Botteghe delle acque e dei ghiacci”, successivamente chiamate Bar, ed il ghiaccio divenne una risorsa indispensabile per la conservazione degli alimenti, per la gestione dei nuovi esercizi alberghieri e di ricreazione, ed in medicina per lo studio di nuovi farmaci e per la cura di svariate malattie.
Per pochi anni, a cavallo tra il 1800 e il 1900, si sfruttò il ghiaccio estratto dal ghiacciaio del Galambra, oggi completamente scomparso. Un’attività impegnativa che, svolgendosi in estate, sottraeva preziosa forza lavoro all’agricoltura. Agli inizi del Novecento, verificata e riconosciuta la validità economica del commercio, la fiorente attività estiva dei cavatori e trasportatori di ghiaccio del Galambra venne soppiantata dalla produzione invernale nel lago della ghiacciaia. Ai piedi della montagna, in esposizione nord, alla confluenza tra le acque del Rio Gorge e Rio Ourettes, si ricavò un laghetto artificiale con una superficie di circa 1100 metri quadrati ed una profondità di circa 130 centimetri e si costruì un ampio locale quasi completamente interrato e quindi in grado di garantire la conservazione del ghiaccio fino al periodo estivo.
A fine settembre, compatibilmente con l’irrigazione dei coltivi a valle, si iniziava a riempire l’invaso e fra fine dicembre e inizio gennaio avveniva il primo prelievo di ghiaccio dal lago. Con l’ausilio di seghe, asce e picconi, venivano ricavati blocchi squadrati che, attraverso uno scivolo di legno, venivano trasportati alla finestra bassa della ghiacciaia per lo stivaggio. Quando la richiesta del mercato era alta, se lo spessore del ghiaccio lo consentiva, si procedeva ad un secondo raccolto. La produzione poteva raggiungere i 500 metri cubi all’anno, pari ad un ventina di carri ferroviari.