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MUSEO LABORATORIO DELLA PREISTORIA DI VAIE – Filatura e tessitura nel Neolitico

Nel quadro delle attività artigiane nella preistoria, la filatura e la tessitura rappresentano un aspetto poco conosciuto. Infatti, vista la natura delle materie prime, sono in genere scarsi i ritrovamenti, sia di campioni di tessuto, che di impronte provenienti da processi di mineralizzazione.

In siti coevi della Valle sono documentate la filatura e la tessitura della lana, del lino e dell’ortica. Si può quindi ipotizzare che tali pratiche fossero generalizzate sul territorio e che i filati venissero tinti con sostanze vegetali del luogo. Fra i reperti sono presenti pesi in terracotta per telai e fusaiole per la filatura.

Sappiamo anche che, precedente e coeva a filatura e tessitura, vi fu la tecnica dell’intreccio per la fabbricazione di contenitori, copricapi, mantelli e scarpe. A tal scopo venivano impiegati prevalentemente salice, viburno, erbe palustri o graminacee, ma anche fibre tratte da alcuni alberi: tiglio, olmo, quercia.
Gli strumenti della filatura erano semplici: la rocca, bastone sul quale veniva avvolta la fibra, e il fuso, mediante il quale si produceva il filo.
Questo, ricavato per torsione, non serviva solo per tessere, ma per cucire, legare e confezionare reti.

In Europa, durante il Neolitico e l’Età del Bronzo, era in uso il telaio verticale. Esso prevedeva l’incrocio di un sistema di fili verticali (l’ordito) con un filo orizzontale (la trama), che passava ripetutamente ed in modo alterno tra i fili dell’ ordito.
Per introdurre il filo nell’ordito si usava la navetta e con il battitoio si compattava il filo introdotto.

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