Ecco un esemplare di nocciolo selvatico. Pianta antichissima, è documentata la sua presenza nei nostri territori fin dalla preistoria. Non è invece certa, per quei tempi, quale fosse la varietà di altre specie, come il noce e il castagno. Il castagno attuale, ad esempio, è giunto a noi in epoca romana.
Data la rapida diffusione dell’ arbusto intorno agli abitati, la nocciola era anche la principale fonte di olio alimentare. Antichissima è quindi la tradizione del mantenimento selettivo di noccioli, querce e faggi per frutti destinati all’uomo e agli animali. L’abbandono dei boschi è soltanto, infatti, un fenomeno dei nostri tempi.
Ma di quali vegetali si cibava l’uomo del Neolitico? Persisteva la raccolta di frutti selvatici: nocciole, ma anche fragole, ciliegie, mele, pere, fichi, uva, corbezzoli. Insieme a bacche e radici, essi avevano caratterizzato a lungo l’alimentazione. Ma solo con il progressivo affermarsi delle pratiche agricole si crearono le condizioni per la nascita di insediamenti stabili come quello di Vaie. Le prime coltivazioni produssero progressivamente farro, orzo, frumento, lenticchie ed altri legumi. Ma la rivoluzione agricola del Neolitico portò con sé anche le grandi innovazioni tecnologiche: nuove lavorazioni della pietra, manifattura della ceramica, filatura e tessitura; in generale, la fabbricazione degli oggetti di uso quotidiano anche funzionali ai nuovi sistemi di cottura dei cibi.
Con la domesticazione di piante ed animali, i terreni circostanti i villaggi erano pure destinati al pascolo di caprovini, bovini e suini. Con l’allevamento, la comunità si assicurava la produzione di carne e pellami, ma anche di latte e formaggi, lana, concime e l’uso degli animali come forza lavoro. Si verificava quindi, nel contempo, la graduale riduzione della millenaria pratica della caccia.